mercoledì 21 gennaio 2009

Perchè aprire la bocca senza avere acceso il cervello?


Sempre più presente in campo, sugli spalti, in panchina. Qualcuno protesta, qualcuno viene sgridato, pochissimi squalificati, molti ripresi in tv. Ma la bestemmia nel calcio c’è è si diffonde. Sulla carta si rischia l’espulsione, nella realtà molti chiudono le orecchie e tirano avanti. Tanto più che ora c’è anche l’imprimatur del ct numero uno del calcio italiano. «Chi impreca lo fa più per istinto e per rabbia che per mancanza di fede o per offendere Dio» sostiene Marcello Lippi in un’intervista al sito papanews.it. In fondo, racconta, è capitato anche a lui, che poi è pure di Viareggio, e «in Toscana la bestemmia è quasi utilizzata come un intercalare, ma è stato un attimo e non per astio verso Dio. Perciò io non trasformerei in un dramma le bestemmie di un giocatore o di un tecnico, c’è di peggio». Del resto, già anni fa, il ct campione del mondo dichiarò: «La bestemmia è cultura, un modo di parlare nostro toscano ». Aveva appena imprecato dalla panchina dopo un gol preso dalla Slovenia.
Ma la sua giustificazione non piace a monsignor Gianfranco Ravasi che presiede il Pontificio Consiglio per la cultura e su papanews. it gli risponde: «Se perfino il ct della Nazionale di calcio non condanna questo fenomeno, ci sarà poco da fare. Le sue parole sono gravi e rappresentano il decadimento e l’imbarbarimento non solo del calcio ma di tutta la società moderna», perché «la bestemmia è sempre volgare e mai giustificabile, è un’offesa grave verso il Signore di cui non c’è più coscienza». In più, chi bestemmia davanti a milioni di telespettatori «lancia questo segnale diseducativo verso una platea vastissima, rischiando di creare gravi conseguenze». Per questo, pochi giorni dopo essere diventata la presidente del Bologna, Francesca Menarini chiese ai suoi giocatori di «evitare le bestemmie in campo». Nessun divieto, spiega ora, «ho solo ricordato che è un atteggiamento deplorevole e diseducativo per chi segue il nostro sport», perché «la bestemmia è sempre una gravissima forma di offesa, al di là delle convinzioni religiose». L’allarme lo lanciò nel 2004 il presidente del Coni Gianni Petrucci che si lamentava: «Non è possibile continuare ad assistere in silenzio alle bestemmie. Se nessuno prende posizione, lo faccio io», anche perché «se un giocatore manda a quel paese l’allenatore, tutti sono pronti ad interpretare il labiale ed indignarsi». Tre anni prima, nel 2001 c’era stato pure un giro di vite che vide attuare la squalifica per bestemmia di tre allenatori in poche settimane, Silvio Baldini, Giovanni Vavassori e Walter Novellino. Ma la battaglia durò poco, tanto che nel 2006, Luca Toni manifestò in mondovisione il suo «disappunto» per un gol mancato in Italia-Romania. Oggi l’espulsione per bestemmia è ancora prevista, spiega l’ex arbitro Paolo Casarin che condivide le parole di Ravasi («non si può giustificare l’imprecazione verso Dio»), ma è più facile vedere il cartellino rosso se ad essere insultato è l’arbitro.

1 commento:

Paolo Giacomel ha detto...

Marci un tema così noioso ed inutile che ti scappa anche l'errore grammaticale.

Ma la bestemmia nel calcio c’è ... è ... si diffonde.