venerdì 29 giugno 2007

Elogio dell'esonero di Fabio Capello


Chiedo scusa per l'impertinenza, ma ci provo lo stesso. Ora che la notizia è ufficiale e ha fatto il giro del mondo, è possibile – senza che nessuno si offenda – dire che il Real Madrid ha fatto bene, anzi benissimo a cacciare Capello? Sì, avete capito bene: proprio lui, Fabio Capello, l'allenatore che non più tardi di 10 giorni fa ha condotto i Galacticos alla conquista del 30° titolo di campione di Spagna al termine di una memorabile rimonta ai danni del Barcellona. Come dite? Non era mai successo che un allenatore vincitore di uno scudetto venisse esonerato? Il blasone di Capello, che ha conquistato titoli a bizzeffe, non meritava di subire un'onta del genere? Il Real pagherà amaramente la decisione presa? Può darsi. D'altronde, che il calcio sia il regno dell'impossibile è cosa nota: se Cannavaro è diventato Pallone d'Oro perché giudicato più bravo di Buffon, Ronaldinho ed Henry, ci sta anche che il Real conquisti il titolo e a mo' di ringraziamento decida di dare un calcio nel sedere al suo allenatore. Ci sta un po' meno, semmai, che commentatori, opinionisti e mass-mediologi si straccino le vesti fingendosi scandalizzati. Come direbbe quello: scandalizzati de che? Seguitemi.
Quante volte ci è capitato di leggere (o di ascoltare) pistolotti e articolesse che stigmatizzavano la cacciata di un allenatore colpevole, unicamente, di aver perso qualche partita di troppo? Quante volte abbiamo biasimato la fretta, il cinismo e la leggerezza di presidenti incapaci di cavalcare l'onda emotiva del momento e sempre pronti a dare l'allenatore in pasto alla folla? Quante volte abbiamo scosso la testa davanti alla crudeltà dell'assunto: “Nel Calcio Conta Solo Vincere”? Cento? Mille? Un milione di volte?
Ebbene. Se tutto questo è vero, se la visione del calcio – e diremmo: della vita – non può ridursi al principio che “conta solo vincere”, allora, se gli opinionisti e i commentatori del pianeta-pallone non vogliono recitare la parte di chi predica bene e razzola male, dovrebbero applaudire, e non ironizzare, alla decisione presa dai dirigenti del Real Madrid: che nonostante il trionfo riacciuffato dalla squadra in extremis, con le unghie e coi denti e con una caparbietà e un orgoglio degni di miglior causa, hanno giudicato che la stagione del club fosse stata insoddisfacente, e la gestione dell'allenatore – al secolo Fabio Capello – carente. E a dispetto del titolo vinto, hanno concluso che i motivi di delusione e di malcontento superassero di gran lunga quelli di soddisfazione. Morale: siccome nel calcio non conta solo vincere (l'abbiamo sempre detto, no?), Capello è stato esonerato. Perché per i dirigenti del Real Madrid, a ragione o a torto, l'allenatore italiano ha fondamentalmente fallito.
Giusto? Sbagliato? Gli specialisti del Pistolotto non hanno dubbi: cacciare un allenatore vincente è una bestemmia, un sacrilegio, un'eresia. Capello passa metà stagione a fare danni, in campo e fuori, come neanche un elefante in cristalleria? Non importa, perché alla fine Capello vince. Capello col dito medio alzato manda 'affanculo in mondovisione i tifosi che lo fischiano e lo contestano? Non importa, perché alla fine Capello vince. Capello infama Beckham, uno dei più impeccabili professionisti della storia del calcio, mandandolo in tribuna e additandolo al pubblico ludibrio per il solo fatto di aver annunciato il passaggio, a fine stagione, ai Galaxy di Los Angeles, salvo poi doversi ricredere, riportandolo in squadra a furor di popolo? Non importa, perché alla fine Capello vince.
E invece, cari signori, guardate un po' che cosa combinano i dirigenti del Real Madrid! Che a sorpresa, nel momento meno indicato della stagione, il momento dell'euforia e del trionfo, comunicano al mondo il contrordine: non è vero che non importa se Capello fa l'elefante in cristalleria; non è vero che non importa se Capello manda 'affanculo i tifosi; non è vero che non importa se Capello manca di rispetto, e offende ignobilmente, un giocatore bravo e un uomo di valore come Beckham. Tutt'altro. È anzi così importante che un allenatore, nel 2007, agisca con rispetto, con educazione e con equilibrio, e cerchi di soddisfare a 360 gradi le aspettative migliori della gente – pubblico, giocatori, dirigenti - che Capello, l'uomo che non sorride, l'uomo che non deve chiedere mai, l'uomo capace solo di vincere, viene bocciato. Cacciato. Messo alla porta. Con questo, dando a tutti – Capello per primo - una memorabile lezione di stile. Stile con la S maiuscola.
E d'altronde. Immaginate una grande casa di moda – poniamo Dior – che decide di affidarsi a un nuovo stilista per rinnovare la sua griffe. E immaginate che a fine stagione i conti dicano che le vendite sono aumentate, ma che i vestiti abbiano preso ad assomigliare sinistramente a quelli che si vedono in vetrina alla Upim o alla Standa. Che fa Dior? Ringrazia lo stilista per l'impegno profuso ma non ci pensa due volte e lo mette alla porta, prima che i danni all'immagine del marchio diventino irreparabili. Legittimo? Ci sembra di sì, non trovate?
Ebbene: i dirigenti del Real Madrid sono stati grandi. Ci hanno insegnato che nella vita si può imboccare una strada sbagliata, ma è possibile tornare indietro anche se tutti, ma proprio tutti, ti invitano a tirare dritto, che va bene così. Come dire: puoi sposare una donna bellissima, o un uomo ricchissimo, e accorgerti che la tua vita si svolge lo stesso all'insegna della più totale e completa infelicità. E allora, siccome si vive una sola volta - e la vita può essere una cosa meravigliosa - anche se il mondo non capisce, ti ribelli e dici basta.
E scappi di prigione.

E torni a vivere.

Pausa

Cari miei lettori (scrivo al plurare ma non ne sarei così certo),
mi prendo una breve pausa di una settimana. Leggete e commentate, scrivete cosa vorreste leggere e pensate cosa vorreste commentare: un circolo culturale virtuoso insomma!
A presto, non fate le pecore, ma gli uomini!!
Marcello

giovedì 28 giugno 2007

Piangi piangi


Piangi piangi, che ti compero una lunga spada blu di plastica, un frigorifero
Bosch in miniatura, un salvadanaio di terra cotta, un quaderno
con tredici righe, un’azione della Montecatini:
piangi piangi, che ti compero
una piccola maschera antigas, un flacone di sciroppo ricostituente,
un robot, un catechismo con illustrazioni a colori, una carta geografica
con bandierine vittoriose:
piangi piangi, che ti compero un grosso capidoglio
di gomma piuma, un albero di Natale, un pirata con una gamba
di legno, un coltello a serramanico, una bella scheggia di una bella
bomba a mano:
piangi piangi, che ti compero tanti francobolli
dell’Algeria francese, tanti succhi di frutta, tante teste di legno,
tante teste di moro, tante teste di morto:
oh ridi ridi, che ti compero
un fratellino: che così tu lo chiami per nome: che così tu lo chiami
Michele.


E' una poesia di Edoardo Sanguineti, di una nitidezza e di un amore davvero splendidi.

Che cosa ne pensate?

mercoledì 27 giugno 2007

Pubblicità...ma utile per saggiare il mondo del lavoro.


Tengo a pubblicizzare una azienda amica, grazie per la pazienza: visitatene il sito, conoscetene i proprietari, andate a vedere: scoprirete come vive una media impresa, in espansione (caso raro) ed onesta (caso rarissimo) nel nostro Belpaese!

Sarà istruttivo ed affascinante capire qualcosa di più circa la manifattura italiana buttando un occhio al di là del muro, toccando con mano le realtà lavorative, no? Buon viaggio!


L'impresa: la BLS s.r.l. è l’unica azienda italiana produttrice di facciali filtranti rispondenti alla normativa europea EN 149:2001 e marcati CE.
Lo stabilimento è ubicato a Milano, nei pressi della Bovisa e si sviluppa su una superficie di 1500 metri quadrati. Gli impianti a ciclo continuo sono studiati dalla divisione ReD e realizzati all’interno della stessa azienda. L’organizzazione commerciale diversificata per settori merceologici opera sul mercato italiano, europeo e medio-orientale con una rete di agenti e distributori locali.

Quando lo sport fa sorridere



Non c'è pace al Milan. Dopo il coinvolgimento nell'inchiesta sui bilanci truccati, oggi Gilardino ha detto che resta.


Todt dice che prima del G.P. di Montecarlo hanno sabotato la Ferrari: forse quando qualcuno ha fatto firmare Raikkonen.


La Gazzetta dello Sport comunica che la medaglia commemorativa di Recoba, che doveva uscire oggi, uscirà quando Recoba avrà qualcosa da commemorare.

martedì 26 giugno 2007

Martini e lo strappo sui Dico: la Chiesa non comandi dall’alto


Avanza piano col bastone nella Chiesa di Santa Caterina, accanto alla Basilica della Natività. Per festeggiarne gli ottant’anni, l’arcivescovo Dionigi Tettamanzi ha guidato il pellegrinaggio di 1.300 pellegrini milanesi che scandiscono «Carlo Maria» battendo le mani. E lui, il cardinale Martini, a dispetto delle sopracciglia imbiancate come i tetti di Betlemme («mai successo, una messa di Natale a marzo e addirittura nevica!»), ha nello sguardo la solita luce d’ironia mentre ringrazia i fedeli e invita la Chiesa ad «ascoltare la gente»: «È un grande compito che dobbiamo portare avanti, per il quale io prego nella mia intercessione quotidiana: che ci sia dato, anche come Chiesa italiana, di dire quello che la gente capisce: non un comando dall’alto che bisogna accettare perché è lì, viene ordinato, ma come qualcosa che ha una ragione, un senso, che dice qualcosa a qualcuno... ».
Due giorni prima, a Nazareth, il cardinale Tettamanzi aveva parlato di famiglia e della necessità di «avvicinare» i non credenti e le coppie di fatto adottando («E se non ci pensa la Chiesa, ci penserà il Signore») lo stile evangelico. Ora il biblista Martini commenta accanto al successore la lettera di San Paolo a Tito, l’invito a «vivere con sobrietà, giustizia e pietà», e sillaba: «Sono parole laiche, questo mi colpisce». Ecco il punto, spiega più tardi: «Bisogna farsi comprendere ascoltando anzitutto la gente, le loro necessità, problemi, sofferenze, lasciando che rimbalzino nel cuore e poi risuonino in ciò che diciamo, così che le nostre parole non cadano come dall’alto, da una teoria, ma siano prese da quello che la gente sente e vive, la verità dell’esperienza, e portino la luce del Vangelo».
Niente discorsi «strani o incomprensibili», ma «parole che tutti possono intendere: anche chi non pratica una religione o chi ne ha un’altra, perché sono il primo passo». Martini dice di «non credere molto nel dialogo interreligioso », perché «ciascuna religione è un po’ incasellata nel suo schema, e gli schemi si ripetono », però c’è «un livello di verità delle parole che vale per tutti, credenti e non, e in cui tutti si sentono coinvolti e parte di una responsabilità comune». Il cardinale parla dell’età, «sono giunto nella lista d’attesa, di chiamata», e lo fa «senza rimpianti, sereno», San Paolo dice che «non c’è proporzione tra le sofferenze del presente e la gloria che ci attende».
Così invita la Chiesa alla fiducia. Clima ostile? «Le nostre comunità troppo spesso si lamentano, con buoni motivi, ma senza accorgersene rimangono un po’ imprigionate in questa lamentosità: e questo è il gioco del demonio». Ai parroci scontenti, racconta, «io dicevo: ma non avete dei beni di cui ringraziare Dio? Ecco, cominciate a fare l’elenco delle cose belle perché la vostra fede in una situazione così secolarizzata è già un miracolo, un dono di Dio. Bisogna partire dalle cose belle, magari poche, e ampliare. Invece l’elenco delle cose che mancano è senza fine. E tutti i piani pastorali che partono dalla lista delle lacune sono destinati a dare frustrazione anziché speranza».
Rapporti difficili tra Chiesa e modernità? «La modernità non è una cosa astratta, ci siamo dentro, e ciascuno di noi èmoderno se vive autenticamente: non è questione di tempi ma di essere realmente presenti, in ascolto». Come sulla famiglia: «Ricordo che avevo fatto un discorso di Sant’Ambrogio, sarebbe da riprendere oggi». Vi metteva in guardia dal «panico d’accerchiamento » e dal «tentativo di imporre come d’autorità una nostra concezione della famiglia ». Bisogna promuoverla, ripete: «È una istituzione che ha una forza intrinseca, la forza non è data dall’esterno e da chissà dove. Bisogna che questa forza sia messa in rilievo, che la gente la desideri, la ami, e faccia sacrifici per essa».
Farà discutere. Ma fu Martini a parlare della «necessità» di discutere liberamente. Ora sorride e conferma: «Non era neanche un auspicio mio, ad esempio l’aveva già fatto Karl Rahner: la necessità di una pubblica opinione nella Chiesa. Se poi sia aumentata o diminuita non saprei dirlo perché venendo a Gerusalemme, fuori dei doveri pubblici, mi sono posto l’impegno a osservare rigorosamente Matteo 7,1: non giudicate e non sarete giudicati. Quindi non giudico perché con la misura con cui giudico sarò giudicato anch’io. Ma l’auspicio è questo».

Baci da Pompei



Non fu il coltello che tagliò, non fu la luna Che tramontò, non fu la stella che schiarì la notte La notte che arrivò e che s'illuminò E non fu lei che disse "No" E non fu lui che disse E non fu lei che disse "No" E non fu lui che disse "No" Non fu la nuvola che passò, non fu la nuvola Che si fermò e congelò il vapore dell'estate E le parole consumate Senza fretta E non fu lei che disse "Aspetta" E non fu lui che disse E non fu lei che disse "Aspetta" E non fu lui che disse "Aspetta" Che passi il segno della piena Su questo cuore e su questa schiena E si addormentino gli amanti All'ombra del vulcano Posso bruciare sempre la tua mano Nella mia mano E consumarsi il mio destino Col tuo destino E questa pioggia ritorni vino E questa cenere diventi vino Non fu il coltello che tagliò, non fu la luna Che si inabissò, non fu la stella che sparì, non fu la notte Quando si squagliò E non fu l'aurora E non fu lei che disse "Ancora" E non fu lui che disse E non fu lei che disse "Ancora" E non fu lui che disse E non fu lei che disse "Ancora" E non fu lui che disse "Ora" Che passi il segno della piena Su questo cuore e su questa schiena E si addormentino gli amanti All'ombra del vulcano Posso bruciare sempre la tua mano Nella mia mano E consumarsi il mio destino Col tuo destino E questa pioggia ritorni vino E questa cenere diventi vino.

domenica 24 giugno 2007

Povero ciclismo, moribondo e autolesionista


Domanda: che ce ne facciamo di uno sport (il ciclismo) che 10 giorni dopo la fine dell'ultimo Giro d'Italia vede la maglia rosa (Di Luca), la maglia verde (Piepoli) e la maglia ciclamino (Petacchi) al centro di altrettanti, inquietanti casi di doping? Come dite? Siamo arrivati alla canna del gas? Temiamo proprio di sì. Ricapitolando. Per Danilo Di Luca, 31 anni, maglia rosa, coinvolto nell'inchiesta “Oil for Drug” targata 2004 (inchiesta collegata all' “Operacion Puerto” che coinvolse Basso: nel corso di alcune intercettazioni, da poco in possesso della Procura antidoping, Mazzoleni – a quei tempi compagno di squadra di Di Luca – chiede al dottor Santuccione nuova Epo per sé e per Danilo), il procuratore antidoping, Torri, è già al lavoro: e se per Basso, coinvolto nell' “Operacione Puerto”, la richiesta di squalifica della Procura è stata di 21 mesi, per Di Luca e Mazzoleni, che hanno sempre negato ogni addebito, già si parla di una richiesta di squalifica di 4 anni: il che significa carriera finita. Due, invece, gli anni di stop che rischiano Piepoli e Petacchi, trovati “non negativi” al salbutamolo, un antiasmatico che assunto in grandi quantità ha un notevole effetto anabolizzante. Piepoli e Petacchi, a dire il vero, hanno presentato regolare certificato di esenzione terapeutica, ma il limite di 1000 nanogrammi per millilitro fissato in questi casi è stato comunque drammaticamente superato: nelle urine dei due ciclisti è stato trovato salbutamolo in quantità da cavallo, per l'esattezza 1400 e 1800 nanogrammi per millilitro. Impossibile, a questi livelli di concentrazione, pensare che la sostanza sia stata inalata (e ogni altra via di assunzione, come si sa, è vietatissima).
Morale della favola: a un mese dalla trionfale e luccicante passerella finale di Milano, con Danilo Di Luca fasciato in rosa, Leonardo Piepoli in verde e Alessandro Petacchi in ciclamino, la sola certezza è che la carriera dei trionfatori nelle 3 più importanti classifiche del Giro 2007 è in pericolo (e quella di Mazzoleni, terzo classificato, pure). Per dire le cose come stanno: il ciclismo, oggi, è diventato uno sport talmente falso che il wrestling, al confronto, è un capolavoro di purezza e genuinità.
Niente paura, però. Come diceva quello: l'operazione è perfettamente riuscita. E il paziente è morto.